La prodigiosa “Acqua di San Giovanni” si preparava nella notte magica, tra il 23 e il 24 giugno, la più breve dell’anno.. La leggenda vuole che detta acqua taumaturgica possedesse virtù curative e protettrici e che portasse salute, fortuna e amore sfruttando la forza e la potenza di piante e fiori sotto l’assistenza divina del Santo.
Chi, come me, è cresciuto in campagna ed in un minuscolo paesino collinare, ricorda i riti contadini.. Rituali e tradizioni rurali, infatti, seguivano sempre le stagioni e le feste dei Santi.. anche se durante la mia infanzia tali retaggi secolari erano già in larga parte scomparsi…ma ancora se ne tramandava, comunque, il ricordo nei racconti dei più anziani, magari nelle serate assolate, seduti davanti casa, o in quelle buie e fredde invernali attorno ad un braciere (..a conca..).
Da un po’ di anni, disillusi dalla modernità, in molti stiamo tornando ai vecchi riti delle stagioni, alla pasta madre fatta con l’acqua di San Giovanni, all’aspersione della casa con tale portentoso liquido. Anni fa, da chierichetto, ho anche imparato la novena di San Giovanni, che però, ahimè, ho ora in parte dimenticato.
Oggi vi parlo dell’acqua di San Giovanni. Se vivete in campagna, ma anche se avete un terrazzo fiorito in città, la notte di San Giovanni è davvero magica e tutti, se lo vogliamo, possiamo preparare l’acqua di San Giovanni senza il rischio di essere presi per maghi o per streghe ed essere arsi vivi. Si, è così..!! La notte di San Giovanni è magica, incantata e l’acqua che si fa quella notte ha benefici poteri magici…. Forse… ma ci piace crederlo..!!
Io ci credo e mi fa immenso piacere rivivere quella notte. E parlarne quì con voi.
Alcuni, pare, nei secoli scorsi, dormivano, in quella notte straordinaria e tanto attesa, sulla nostra spiaggia oppure attendevano il sorgere dell’alba cantando, ballando dinanzi ad un fuoco propiziatorio (i famosi fuochi di San Giovanni che richiamavano i pagani falò del Solstizio d’Estate). Anticamente pare che alcuni gruppi salissero, addirittura attraverso un ripido viottolo scosceso, sulla Rocca di Tindari, e leggendo brani mistici e intonando canti particolari, aspettavano che Dio si manifestasse con il sole nuovo, rischiarando e scaldando la costa e il promontorio.
Per quanto riguarda invece l’altrettanto famosa “acqua di san Giovanni” nei tempi che furono, verso mezzanotte si andava in giardino e si raccoglievano i fiori che qualche giorno prima avevano “ucchiatu” (tenuto sott’occhio). In un piccolo cestino di vimini o in una ciotola di terracotta si deponevano solitamente dei petali di rosa, fiori di ginestra, margherite selvatiche, lino, qualche cardo, rosa canina e fiori di rovo (..od altre infiorescenze, purchè di tipo aromatico) . Dopodichè si metteva il tutto in un contenitore., versandovi dell’acqua che spesso si attingeva dalla cisterna dell’acqua piovana o dal pozzo. Quindi si lasciava il recipiente in un posto isolato e sicuro, su una sasso nell’aia o sul tetto di un rudere o su muricciolo in pietra, a “bere” l’energia del cielo che si credeva scendesse con la rugiada e quella del cosmo che arrivava con i raggi della luna.
Trascorsa la notte, al mattino presto, al primo sorgere del sole, si portava in casa la scodella; si versava circa metà d’acqua ivi contenuta in un’altra tazza e si conservava in un luogo fresco ed umido (per fare il lievito madre).
Con l’acqua rimanente ci si detergeva il viso invitando tutto il resto della famiglia a farlo ed, in ultimo, se ne spargeva alcune gocce in tutti i locali della casa dicendo orazioni in onore di San Giovanni affinchè tutti gli influssi negativi si allontanassero.
Altre pratiche legate al erano il bagnarsi i piedi, all’alba, nell’acqua di mare o il cospargersi i capelli ed il corpo delle cenere del falò per preservare l’organismo dai Demoni e dalle malattie o per riottenere il benessere fisico dopo una infermità. Altra pratica che merita di essere ricordata è il consiglio, allora molto seguito, di portare sempre con sè un rametto di iperico per proteggersi dalle influenze nefaste.
L’Iperico, pianta erbacea dai petali di colore giallo, fiorisce proprio nel periodo del solstizio d’estate. E ricevette, proprio per tale coincidenza temporale, il curioso appellativo di “erba di San Giovanni” dai primi cristiani, che si accorsero che le foglie e i fiori della pianta, se strofinati, rilasciavano un olio rosso, da questi immediatamente riconosciuto come il “sangue del santo”. Si racconta fosse d’obbligo “la notte di San Giovanni” dormire con un mazzolino di Hypericum sotto il cuscino: in questo modo il dormiente si sarebbe garantito la salvezza dalla morte, almeno per un anno. Sembra infatti che la notte del solstizio le piante acquisissero il loro massimo potere curativo (soprattutto per le piaghe e le ustioni).
Oggi a molti tutto ciò appare come inutile e strana credenza, coltivata da menti labili ottenebrate dall’ignoranza e da medievali superstizioni tipiche di una sub-cultura contadina, ma così non è: si tratta, piuttosto, della riscoperta di antichi valori (desueti ma non morti) e della fede, magari un po’ ingenua, di avere la capacità, in determinate circostanze, di influenzare il corso degli eventi o la natura eseguendo ritualità propiziatorie indirizzate ad entità spirituali benefiche.
Probabilmente ci troviamo dinanzi ad una sorta di sincretismo, ovvero il tentativo di conciliare l’associazione di elementi simbolici precristiani (pagani) alla tradizione santologica cristiano-cattolica. Ciò non toglie comunque nulla alla profondità e ancestralità di tali cerimonie rituali ma anzi il riproporle e rinnovarle contribuisce a ricondurci al ritrovamento di un senso di identità e di riscoperta delle proprie radici comunitarie, cui i tempi odierni tragicamente difettano ; la perdita di tali contenuti antropologico-metaforici, figli del nostro passato più remoto, ci hanno, infatti, fatto sprofondare in un vuoto valoriale i cui deleteri effetti si riscontrano, di continuo, negativamente ( e tragicamente) nell’attuale arida società, cinica e materialista.
Dott. Andra Catalfamo