La campagna elettorale comunale si è da poco conclusa. Abbiamo assistito da parte degli avversari, ad una sorta di crociata perbenista, o sedicente tale, ingaggiata contro i reprobi, i simboli del malaffare e della corruzione. Mai, in verità definiti tali ma sempre destinatari di malevoli allusioni ed insinuazioni, più o meno velate. Il tutto all’insegna dell’ergersi a paladini del voltare pagina, dell’iniziare un nuovo corso, dell’amministrare in maniera diversa. Tutte parole, vuote ed inconsistenti, nient’altro che parole, insomma, in altri termini, un volgare ricorso ad una sorta di furbata qualunquista messa in atto per prevalere nelle urne ma rimanendo privi, costoro, spaventosamente di un qualsivoglia programma, un qualsivoglia progetto, una idea qualsiasi di paese, di comunità, di sviluppo socio/economico e culturale, lo zero assoluto, insomma, un allarmante vuoto pneumatico, solo uno scopo li animava ed univa, il miraggio del “levati tu, che mi ci metto io”.
Ma ora, questa gente, al potere da oltre un mese, e davanti alle prime decisioni adottate, sta amaramente palesando sempre più la sua inesperienza e totale improvvisazione, mascherata con condotte improntate a protervia ed urtante presunzione, non citeremo gli atti adottati sin qui e la loro unilateralità (solo, peraltro, sotto gli occhi di tutti). Una cosa però occorre evidenziare; fallita ormai la loro presunta superiorità morale, stanno acconciandosi alla meno peggio, come già iniziato in campagna elettorale, ad una sorta di travestimento lessicale, fatto di parole che falsamente evocano sedicenti principi di onestà, trasparenza e correttezza (del tutto assenti nel loro operato, e nei loro beceri sostenitori), insomma sta vieppiù prendendo corpo in loro una dissociazione profonda, e con sempre maggiore evidenza, tra quello che hanno detto, e dicono, ed il loro piccolo agire quotidiano, il tutto sfociante inevitabilmente in una sorta di finzione lessicale, a tratti davvero insopportabile. Cioè non potendo, o sapendo, cambiare la triste realtà delle cose, anche e soprattutto in conseguenza della loro manifesta insipienza, allora cambiano le parole per indicarla (legalità, correttezza, eticità ……. bla, bla, bla). Ovverosia le parole, false ed ipocrite, strumentali ed artificiose, sostituiscono i fatti, amari ed inconcludenti.
Tale gioco sporco, ormai compreso dalla maggior parte dei cittadini, finalizzato a gettare ombre e sospetti sull’avversario, come appare di tutta evidenza, si fonda sull’abuso corrente e fuori luogo, di valori quali l’irreprensibilità, la generosità, la dirittura morale, l’indipendenza di giudizio e di azione. Non discuto sulla possibilità che in qualcuno di essi alberghino effettivamente le citate virtù di probità ed equilibrio ma non si può non sottolineare e biasimare l’uso improprio e velenoso che ne fanno ad ogni piè sospinto, atto unicamente a demonizzare l’avversario dipingendolo come un lestofante ed un ciarlatano. Il senso ultimo di tale squallida operazione di mistificazione è la falsificazione della realtà e la distrazione dell’elettorato dai veri problemi che urge affrontare. Questa brutta politica, questa diffusione di odio e disprezzo sta dando vita ad una tipologia di avversario non più reale e concreto, bensì immaginario, fittizio ed essendo appunto tale, vale a dire illusorio e creato ad arte, lo si può adattare a chiunque dissenta. Cioè, in altre parole; non sei d’accordo con talune decisioni, non sei con noi, e quindi nemico da abbattere. Per dirla alla Indro Montanelli questi signori oggi al governo possiedono la “Lavatrice della Storia” con la quale: se un individuo la pensa come loro viene “lavato dal fango mediante detto strumento ideologico” e quindi diventa una persona rispettabile e perbene, se invece dissente resta lurido del fango che loro stessi gli hanno buttato addosso e quindi resta un delinquente, un corrotto e pertanto un soggetto da evitare.
In definitiva nel perseguire il fine di creare l’avversario ideale da abbattere con le sole trite e ritrite farsi tipiche del “politicamente corretto” hanno finito col costruirsi, forse inconsapevolmente, un nemico irreale ed inesistente contro cui scaricare i propri limiti e le proprie inconsistenze. Sintomatico è anche il rifarsi impropriamente ed incautamente ad opera di qualche loro esponente in vena di facezie, all’art. 21 della Costituzione circa la libertà di espressione; nessuno certamente la contesta (trattasi di una pietra angolare dei diritti civili e del sistema democratico) ma detta libertà deve essere esercitata senza che la stessa leda l’onorabilità e la reputazione altrui. Le discriminanti all’uopo invocate dall’esuberante amministratrice e cioè che in detta esternazione, l’autrice del siffatto sproloquio, non ha affatto citato nomi, ed ha utilizzato a suo dire una rete social internet: sono scuse davvero risibili ed infantili e denotano ahimè pressapochismo e superficialità, quando non addirittura una cultura scolastica forse non ancora del tutto digerita. Fin troppo facile replicare; infatti, se ci si riferisce in quanto ai nomi, come nella fattispecie, al personale comunale che consta complessivamente in 72 lavoratori ed in più si restringe il campo ai soli operai esterni appare chiaro come essi, evidentemente in minor numero, siano facilmente identificabili. Speciosa risulta perciò la scusa che nella polemica di che trattasi non si sia fatto alcun nome in quanto gli stessi sono già intrinsechi nel discorso. In ordine invece all’altra obiezione formulata e cioè che le dichiarazioni o le foto, o quant’altro, pubblicati su una rete social non siano dei documenti ufficiali si risponde, altrettanto facilmente, che dette esternazioni sono perseguibili a tutti gli effetti di legge, qualora configurino ipotesi di reato. Si risponde infatti legalmente di tutto ciò che si scrive e si pubblica. Ma queste cose evidentemente non le sanno, così come tanto altro. Purtroppo per noi!
Andrea Catalfamo